mercoledì 15 ottobre 2008

UNA BATTAGLIA PERSA


Lo scorso 11 ottobre nel corso della partita Bulgaria - Italia, nella quale oltretutto abbiamo fatto la solita misera figura, alcuni "tifosi" italiani hanno compiuto dei fatti che ritengo non solo indecorosi e vergognosi, ma soprattutto degni di essere qualificati come veri e propri reati. Quelle persone che hanno deprecatamente bruciato la bandiera bulgara ed hanno alzato cori e saluti fascisti dovrebbero essere non solo cacciati dagli stadi, ma piuttosto dovrebbero essere educati al rispetto delle nozioni fondamentali di cultura e rispetto civile.
Ma forse tale pretesa viene considerata dalla maggioranza amorfa,oramai abituata a tali frequenti esternazioni, come proteste di vecchi nostalgici degli ideali repubblicani, io non sopporto tali semplificazioni e non accetto l'arroganza e la tracotanza con cui, tanti e troppi personaggi, anche pubblici e politici tendono a sminuire tali episodi.
Pubblico l'articolo di Menegon presidente dell'ANA di Conegliano e pubblicato sull'editoriale Fiamme Verdi, scritto ben prima di tali episodi e che intuitivamente paventava la possibilità del verificarsi di fatti, che in realtà si sono poi verificati e che purtroppo temo si verificheranno ancora.

Quando, verso la fine di gennaio del 2006 è stata approvata in via definitiva la legge che ha modificato il codice penale in materia di reati di opinione (Legge 85/2006), già avevo in mente di parlarne su Fiamme Verdi, di dire che non ero d’accordo, che si trattava di un grossolano errore, pari a quello della soppressione della leva obbligatoria.
Mi attendevo però in quei giorni grandi titoli sui giornali, editorialisti sdegnati, opinionisti perplessi, lettere infuocate dei lettori, ma le testate nazionali relegarono tra le curiosità il fatto che il vilipendio al Tricolore, dopo la nuova legge, costava (solo) 1.000 Euro, anziché il carcere o l’addio alla condizionale. Depenalizzato, anche il “delitto di offesa alla bandiera o ad altro emblema di uno Stato estero” la cui pena, dalla reclusione da sei mesi a tre anni, è stata sostituita con l’ammenda da 100 Euro a 1.000 Euro. Ma non c’era solo questo. Anche l’attentato all’integrità e all’indipendenza dello Stato è stato depenalizzato: dall’ergastolo a 12 anni e così via.
Ritengo che l’identità nazionale e quindi anche i suoi simboli, siano l’unico deterrente alla creazione di identità fittizie e al consegnarci, anima e corpo, agli stereotipi della società dell’apparire e del consumare, dell’egoismo e della rassegnazione.
Il concetto di Patria racchiude un grande valore morale ed emozionale. E’ quello stesso che proprio 90 anni fa, dopo Caporetto, ha permesso di respingere oltre i confini nazionali l’invasore e di concludere vittoriosamente una guerra durissima per soldati e popolazione.
La recente richiesta di archiviazione da parte della magistratura dell’ipotesi di reato per un gesto palesemente offensivo all’inno nazionale compiuto da un politico, evidenzia una pericolosa tendenza in atto da tempo.
Personalmente non mi indigna che il politico di turno possa affermare che col Tricolore ci si possa pulire quella parte poco nobile (ma peraltro utilissima) del corpo umano o che al risuonare dell’Inno di Mameli si faccia il segno del dito medio in segno di spregio. Mi indigna che questi gesti vengano tollerati da una popolazione che ormai non si indigna più di nulla. Se il linguaggio dei nostri rappresentanti della politica è improntato all’insulto, anche il cittadino si può sentire autorizzato ad usare lo stesso linguaggio nel rapporto con i rappresentati delle Istituzioni. Se le Istituzioni vengono continuamente delegittimate (soprattutto la Magistratura, le forze dell’ordine, ma anche il Presidente della Repubblica), quale unità intorno ai valori nazionali e ai suoi simboli può nascere?
Quando, col cappello in testa, mi emoziono sentendo suonare il silenzio o l’Inno nazionale; quando trattengo le lacrime sulle note del Signore delle Cime e mi accorgo che tanti intorno a me sono nelle stesse condizioni, penso che gli alpini siano davvero gente speciale. Il rischio è però che il distacco dal paese reale (quello che tollera la depenalizzazione del vilipendio al Tricolore e accetta passivamente l’insulto all’Inno nazionale) si allarghi sempre di più e che gli alpini, o chi la pensa come loro, si trovino sempre più isolati.
Allora fa bene quel provveditore agli studi della Provincia di Bergamo che fa cantare l’Inno di Mameli nelle scuole; fa bene il Ministro dell’Istruzione a riproporre l’educazione civica a scuola ed altrettanto bene fanno tutti quegli amministratori locali che nel 90° della Grande Guerra promuovono iniziative nelle scuole e nelle loro città e paesi. Inutile dire che è altamente meritoria l’opera di avvicinamento al corpo degli alpini ed ai valori che essi rappresentano da parte di vari Gruppi della nostra come di altre Sezioni ANA. Ma l’impressione è che questa sia comunque una battaglia già persa

Antonio Menegon

mercoledì 24 settembre 2008

lunedì 28 luglio 2008

BUONE FERIE


Il periodo estivo l'ho sempre associato alle distese di grano e all'intenso rumore delle cicale, mi ricorda il caldo terribile del sud della Spagna o l'interno brullo e desolato dell'isola di Rodi e i panorami mozzafiato dei mille angoli del Mediterraneo.
A chi avrà la fortuna di visitare questi luoghi e a tutti coloro che comunque leggeranno queste righe BUONE VACANZE.

martedì 15 luglio 2008

lunedì 14 luglio 2008

II RITROVO DEL 12 LUGLIO 2008

Un caloroso saluto a tutti i partecipanti al 2° ritrovo del 108° corso AUC fanti d'arresto.
Questa volta siamo stati meno numerosi del precedente primo incontro, ciò è dovuto al fatto che alcuni avevano precedenti impegni lavorativi od erano (beati loro) in ferie.
Nondimeno è stato un piacevole incontro, forse meno euforico del precedente, ma sempre carico di significato e di emozioni.
A questo incontro hanno partecipato Jean Louis Pavan e Mirco Sarto che per impegni non avevano potuto partecipare al precedente, naturalmente il loro arrivo è stato salutato da tutti con particolare emozione dato che con loro non ci si vedeva da ben 26 anni, bisogna dire che si sono ben conservati ed hanno dimostrato tutto il loro entusiamo nel rivederci e nel ricordare nel corso di tutto l'incontro i bei tempi passati insieme a corso.
Dopo il pranzo, che è stato ben organizzato da Nicola Basso in un luogo ben ventilato e con una meravigliosa vista sui colli Berici ci siamo spostati all'interno del ristorante per vedere le diapositive che Buccaro aveva portato con sè, l'organizzazione dell'evento è stata fatta un pò alla meglio con proiezione su di una tovaglia bianca e in un locale alquanto afoso, ma il nostro desiderio di rivedere i nostri volti di ventenni e dai fisici in perfetta forma, immortalati nelle più svariate pose e situazioni è stato ripagato abbondantemente.
Molte volte il buon Arrigo ha dovuto soffermarsi nella visione di alcune diapositive per la notevole curiosità che essere creavano e dall'interesse che si generava in tutti noi nel cercare di ricordare luoghi o nel dare nomi a persone che ormai erano passati da tempo nell'oblio, bisogna dire che questo è stato il momento più bello dell'intera giornata perchè i ricordi che sono venuti a galla grazie alla vista delle diapositive hanno coinvolto tutti noi in maniera del toccante ed hanno fatto ritornare alla nostra mente dei momenti della nostra esistenza che forse molti di noi avevano ormai rimosso o dimenticato.
Il tutto è durato quasi un'ora, in quanto il materiale raccolto da Buccaro è notevole e meriterebbe di essere trasferito in forma digitale, in modo che tutti possano godere di una raccolta che non è solo fotografica ma è anche e soprattutto sunto di ricordi e di emozioni autentiche.
Rinnovo un caloroso saluto a tutti, sperando che al prossimo incontro possano partecipare i tanti che non sono potuti venire ai primi 2 incontri ed augurando a tutti di passare delle buone ferie estive.
Botteon Gianpietro




mercoledì 18 giugno 2008

ADDIO SERGENTE


Addio Sergente, voglio porgerti l'estremo saluto, tu che hai saputo raccontare la tragedia umana della ritirata di Russia in una forma narrativa unica e inarrivabile.
Noi dobbiamo esserti perennemente grati per averci fatto partecipi di quei tristi ricordi e ti dobbiamo infinito onore e memoria.

Asiago, 1921-2008

Nell’estrema naturalezza del suo ciclo vitale, Mario Rigoni Stern era, è, continuo, circolare, infinito. Prosegue il viaggio, solcando lande d’un rosa bigio, preannuncianti lo stupore delle aurore slave. Ma Mario era, è, soprattutto tundra, inverno, come ha notato Paolo Rumiz su “Repubblica”. L’ultima volta che l’ha visto, stringendo la sua mano ancor salda e scabra, ha avuto la percezione che stesse tramutandosi in bosco. Muschio, guazza, foglie bagnate, frulli di passeri, frugalità di camini accesi, questo e molto altro è stato Mario. La sua elementarità spaziale aveva un sentore cosmico. Una vicinanza biblica con la terra, permeata da un misterioso Tao. Mario era restituzione, senso della precarietà e roccia verso l’orizzonte. Saperlo lì, nel suo Veneto rorido di cielo, confortava. Dava la certezza del compattarsi del tempo, della regolarità del vivere, della rappacificazione col creato.

Bambini, il suo “Sergente nella neve” ci aveva scaldato lacrime affettuose. Cinquant’anni dopo la prima edizione, eccolo in scena, nel grandioso affresco corale di Marco Paolini. Ma se in Marco gli occhi piovono di ariosità ruzantiane, in Mario tutto era come trattenuto, raccolto, silente. Non un fiato di troppo. Stagioni. Solo quelle, il suo punto d’arrivo. La sua quinta stagione, quella umana, è terminata due giorni fa. Ma il viaggio prosegue. Perché Mario ha raggiunto l’albero, la pietra, la festuca. Si è eternato evolvendo; e la morte non è, per lui, spegnimento, ma transustanziazione.

Sì, finché è stato uomo, Mario stava in simbiosi con la neve, i ciocchi, i rossori gelati. Eppure stamane, quando finalmente il sole è ricomparso dopo giorni autunnali, era come se la terra ringraziasse l’umano divenuto seme, senza il quale nulla sussisterebbe. E lo ha riaccolto nel grembo dal quale tutti usciamo, ma di cui egli solo aveva consapevolezza, con l’antico e semplice saluto: “Bentornato, Mario”.


E' morto Mario Rigoni Stern
cantò la tragica ritirata in Russia

"Il sergente nella neve" è la sua opera più nota: frutto della terribile
esperienza personale durante il dramma degli alpini mandati a morire in Siberia


E' morto Mario Rigoni Stern cantò la tragica ritirata in Russia

Mario Rigoni Stern

ASIAGO (VICENZA) - Lo scrittore Mario Rigoni Stern è morto ad Asiago, all'età di 86 anni. Malato da tempo, è mancato ieri sera. I funerali si sono svolti oggi, in forma strettamente privata, nella piccola chiesa del centro dell'altopiano. C'erano la moglie Anna, i tre figli con i due nipoti ed il fratello Aldo dietro la bara, Nella cappella non più di 10 persone. Nessuna autorità e nemmeno amici del celebre autore autore del 'Sergente nella neve'.

Mario Rigoni Stern ha scritto pagine indimenticabili sulle sue montagne che amava e conosceva profondamente (Il bosco degli urogalli, Storia di Tonle, Le stagioni di Giacomo...) e ha raccontato in uno dei romanzi più letti del secolo scorso, la tragica ritirata degli italiani in Russia. "Il sergente nella neve", tradotto in diverse lingue e utilizzato in tutte le scuole italiane come testo di lettura, è una storia straordinaria frutto dell'esperienza personale dell'autore che partecipò alla campagna di Russia e riuscì a tornare vivo.

"Era uno scrittore grandissimo aveva la grandezza che hanno i solitari". E' il primo commento di Ferdinando Camon, collega e amico di Rigoni Stern: "Quando sono stato presidente del Pen Club italiano - ricorda - è stato il primo italiano che ho candidato al Nobel: era uno scrittore classico, dalla visione lucida e dalla scrittura semplice ma potente; aveva carisma anche come uomo. Aveva un carattere buono e mite - rileva - se ne fregava dei convegni e delle società letterarie".

Rigoni Stern era nato ad Asiago il primo novembre del 1921. L'infanzia trascorsa nelle malghe dell'Altipiano, tra la gente di montagna, a contatto con i pastori, lui, Mario, una famiglia numerosa e di tradizione commerciale. Alpino, per scelta quando si arruola volontario alla scuola militaree di Aosta e la guerra non è all'orizzonte, viene chiamato alle armi nel '39 e la sua vita cambia per sempre. Impegnato nel fronte albanese, poi in quello russo, sperimenta la tragedia della ritirata, dell'abbondanono e della morte nella gelida neve e poi della deportazione.

Ritorna, dopo due anni di lager, nel '45 all'Altipiano, e comincia a riversare nella scrittura la tragedia che ha vissuto in prima persona. 'Il sergente nella neve' lo pubblica grazie ad Elio Vittorini che lo segnala ad Einaudi. Negli anni '60 arrivera' poi 'I recuperanti' sceneggiatura per il film di Ermanno Olmi. Ma è lungo il silenzio tra 'sergente' e le altre opere. I racconti naturalistici de 'Il bosco degli urogalli' arrivano nel 1962. Tanti poi i suoi lavori e i suoi scritti apprezzati da critica e pubblico. Ancora, sui ricordi del fronte, nel 2000, insieme all'allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, cura il volume '1915-1918 La guerra sugli altipiani'.

"Il sergente nella neve", è stato nell'ottobre scorso un grande successo televisivo attraverso la piece "Il sergente" di Marco Paolini. Paolini interpretò la tragica avventura bellica di Rigoni Stern in diretta tv (La7, senza interruzioni pubblicitarie) dalla cava Arcari di Zovoncedo (Vicenza), sui Colli Berici, ipnotizzò la platea televisiva con 1 milione 200 mila spettatori e il 6 di share.

Paolini aveva già raccolto 1200 persone sull'Adamello per la stessa interpretazione, questa volta nello scenario delle Alpi, presenti molti alpini reduci della guerra che in commosso assoluto silenzio seguirono quella storia di uomini mandati allo sbaraglio con armi e vestiti inadeguati e cibo scarso, un lacerante inno contro la guerra ancora più forte perchè scritto da un ex soldato.

(17 giugno 2008)

giovedì 12 giugno 2008



NUOVO INCONTRO 12/07/2008

Siete pronti a ritrovarci di nuovo per il prossimo 12 luglio ?
Vi aspettiamo tutti quanti, compreso quelli che la volta precedente per impegni già presi non hanno potuto partecipare.
Sono ormai passati 26 anni dal fatidico 108° corso AUC del 1982, tante cose sono accadute nel frattempo, tutti noi siamo cambiati fisicamente ed interiormente ma credo che la voglia di poterci rivedere sia molta e che possa far annullare altri impegni o la ritrosia del nostro carattere.
Per gli altri aspetti organizzativi Vi verrà comunicato per i primi di luglio il luogo e l'orario dell'incontro.
Arrivederci a presto a tutti quanti.

Botteon Gianpietro

lunedì 19 maggio 2008


ZOTTA CI HA SCRITTO E MANDATO UNA FOTO CHE PUBBLICO, E' IL 3° DA SINISTRA:

Per esigenze di adunata e di coro, ho vestito i panni del .....
Ciao a tutti !!!

Cordiali Saluti / Best Regards / Mit freundlichen Grüßen / Bien
amicalement
Giovanni Zotta
_____________________

domenica 18 maggio 2008



OGGI SONO FELICE. SIAMO NUOVAMENTE CAMPIONI.....

giovedì 15 maggio 2008

Dal Mas Gianfranco, è stato mio professore di matematica alle medie ed è un ottimo scrittore, propongo un suo scritto che mi è particolarmente caro, ed interpreta quelle che sono le qualità e le doti positive della nostra gente, o piuttosto quelle che appartenevano ai nostri padri, perchè ad oggi e a molti, queste qualità sembrano essere del tutto estranee.

TONI COVRE

“SIOR TENENTE, LA SUA TENDA LA XE GIA' PRONTA...”

I risvolti inediti e toccanti dell’amicizia, nata in terra russa, tra Giulio Bedeschi ed il suo attendente.
La vicenda umana di uno dei protagonisti di “Centomila gavette di ghiaccio”, Toni Covre.

L’artigliere alpino Covre, che al rientro della divisione in Italia aveva sostituito Prati nelle mansioni di attendente di Serri, allorché gli autocarri raggiunsero una depressione del terreno e gli uomini perdettero di vista le minacciose sagome dei carri armati, estrasse dallo zaino la pagnotta ricevuta in partenza e con un sorriso non del tutto sereno disse all’ufficiale medico: «E’ meglio mettere al sicuro il pane, prima che rispuntino quei bestioni. Ho preso io anche la vostra razione, signor tenente, c’è mezza pagnotta a testa, la mangiamo». Fece due o tre tentativi di spezzare il pane con le mani, ma con grande disappunto non vi riuscì. Appoggiò la pagnotta ad un ginocchio e premette inutilmente con tutte le forze.

«Questa è bella!» esclamò sconcertato rigirando il pane e guardandolo con sdegno. Aveva mani enormi, forti e dure come mazze, proporzionate alla statura gigantesca. Nella batteria era nota una sua prerogativa: quando montava la tenda di Serri e non aveva a portata di mano un martello, con tutta indifferenza usava conficcare i picchetti nel terreno tempestandovi sopra col pugno nudo. La mano spesso sanguinava, ma le asticciole di legno affondavano immancabilmente nel suolo della steppa.

«Niente da fare Covre - disse Coltrin, il puntatore del primo pezzo, che aveva seguito gli sforzi dell’attendente - per romperlo devi adoperare la baionetta come ho fatto io, e poi non riesci lo stesso a tirarne via un boccone, ti saltano i denti e quello resta com’è. E’ di pietra ormai, per il gelo. Non vedi che nessuno ne mangia? Non si riesce. E’ la Russia: bisogna tenersi la fame col pane in tasca»

Da “Centomila gavette di ghiaccio”, Cap XVI.

«L’autore affida al lettore la storia di un esiguo reparto; omettendo gli autentici nomi ha voluto deliberatamente trascendere le singole persone, perché questa è stata davvero la storia di tutti gli alpini, e perché in essa tutte le madri possano intravedere i volti dei loro figli e riviverne la storia di dolore e di morte. L’affida, ancora, ai compagni sopravvissuti, a testimonianza del loro inaudito patire; l’affida a quanti vogliono tener vivo il ricordo di coloro che non tornarono.»

Così scriveva Bedeschi nella prefazione del suo libro. Lo stesso autore compare nella vicenda con il nome di Ten. Serri. Tutti non autentici, quindi, i nomi dei protagonisti di “Centomila gavette di ghiaccio”.

Tutti meno uno: Toni Covre di San Fior, Treviso.

Nel 1944 Covre era un ragazzone che a poco più di vent’anni si era già fatta la campagna di Albania nella 13° batteria del gruppo Conegliano, 3° Artiglieria Alpina della Julia. In Russia divenne attendente del tenente medico Bedeschi. Smontata dal treno a Isium, la batteria aveva affrontato la traversata della pianura di Ucraina per avviarsi verso il Don. Era agosto, la marcia cominciava prima dell’alba e la batteria si fermava a sera, dopo aver percorso 35-40 chilometri, presso qualche villaggio della steppa. Toni Covre, ricordava il suo tenente, brontolava per il caldo, le mosche, la polvere, il sole, la fatica, il rancio, l’acqua, i muli e tutta la naja nel suo complesso ed ogni suo particolare, ma, quando era ora, sgobbava come un mulo. Un classico alpino.

Col passare dei giorni Bedeschi notò che troppo spesso il suo attendente aveva il polso fasciato da stracci sanguinolenti. Cominciò allora a tenerlo d’occhio fino a quando venne a capo dell’oscuro perché. Succedeva (ed al giorno d’oggi sembrano favole) che gli attendenti dei vari ufficiali facevano a gara tra di loro a montare la tenda, per avere la soddisfazione di essere il primo a dire con un largo sorriso: “sior tenete, la sua tenda la xe già pronta...”. Soltanto che martelli e mazze ce n’erano ben pochi e sassi nemmeno uno in quella steppa tutta terra. Sicché Covre, quando non riusciva ad arraffare un qualcosa di pesante, in quei primi minuti dopo l’”alt” si inginocchiava sul terreno a menar pugni a mano nuda sui picchetti di legno, che affondavano sì nella terra ma si macchiavano di sangue assieme alla cordicella che l’attendente girava subito intorno al picchetto e tirava in un lampo, per saltare su poi come una molla e dire che la tenda era pronta e dare occhiate di traverso agli altri attendenti ed ai teli delle loro tende che sventagliavano ancora all’aria della steppa e pendevano inerti dai paletti. Il tenente proibiva, sbraitava, minacciava ma all’indomani aveva ugualmente la tenda pronta per primo e l’attendente con le mani insanguinate.

Nacque così poco a poco tra Bedeschi e Covre una intesa, un senso di protezione reciproca che durò per quanto fu lunga la campagna di Russia e finì per farli uscire tenendosi per mano da Novossergiewskj durante la ritirata, come è narrato in un altro passo di “Centomila gavette di ghiaccio”. Due uomini che si tengono per mano sulla neve, ansando e sfuggendo da un paese ormai accerchiato, non è cosa da poco; è una cosa che non si dimentica mai...

Di Toni Covre dopo la guerra Bedeschi perse subito le tracce; per quanto cercasse e si informasse non riuscì a sapere più nulla all’infuori della notizia che era immigrato nel Belgio, a guadagnarsi la vita lavorando negli alti forni. E dopo qualche anno corse voce che era andato a finire addirittura in America, non si sapeva se nel Nord o nel Sud, e la speranza di riprendere contatto col vecchio amico si ridusse al lumicino.

Passarono così molti anni e quando nel 1963 Bedeschi finalmente pubblicò il suo libro sulla sfortunata campagna di Russia e modificò i veri nomi di tutti i personaggi, trovandosi dinanzi al nome di Covre non si sentì di alterarlo. E lo lasciò così com’era. Sentiva dentro nell’animo che quella decisione per lui significava un omaggio al ricordo del più lontano, introvabile, irraggiungibile e forse il più umile tra i rimasti vivi della sua batteria. Voleva essere il suo un ricordo nostalgico, un saluto nell’acqua profonda del mare che non si sa dove giunge ma si sa che arriva fin dove non si può né stare né andare se non con il cuore.

Dopo due anni, di là dall’Oceano Atlantico, Covre rispuntò. Scrisse al suo tenente una lettera indirizzandola alla casa editrice; spiegò che il libro era arrivato in Argentina, era stato letto dagli alpini emigrati laggiù, che gli avevano detto: «Guarda, leggi qui, si parla di uno che si chiama Covre come te...».

«Sior tenente...» cominciava così la lettera di Toni Covre, e Bedeschi fu felice di pensarlo di nuovo vivo dopo una incertezza ed un silenzio durati più di 20 anni. L’attendente raccontò al vecchio tenente del suo duro lavoro, del suo matrimonio con una italiana anch’essa emigrata, dei due figli, e della nostalgia per l’Italia, la stessa nostalgia che si era manifestata durante la permanenza in Russia. Una cosa soprattutto rintronava di continuo nel cervello di Bedeschi: il pensiero che lui non era mai riuscito ad andare in America, mentre in America erano arrivati i compagni di cui aveva scritto; loro sì erano arrivati fin là, avevano scovato Covre, erano andati a far tremare la sua grossa mano... Si compiaceva di quanto ancora essi contassero, anche se erano morti. Perché contavano davvero se riuscivano a trovare i vivi da una parte all’altra del mondo...

Bedeschi scrisse al capitano Zumin che era il presidente della Sezione ANA dell’Argentina e gli chiese se era una buona cosa il cercare di far tornare Covre in Italia. Ed ebbe risposta affermativa. Non era però facile trovare lavoro per uno che stava in Argentina, non si poteva fargli attraversare il mare senza sicurezze. In Italia doveva trovare un lavoro buono, sicuro e dalle sue parti. Alla fine, grazie alla comprensione di altri alpini, il dott. Scaramuzza, presidente della Sezione di Pordenone, e l’alpino Plazzotta, saltò fuori un lavoro alla “Rex”.

Bedeschi poté così scrivere a Covre e gli chiese se voleva tornare.

«Mi capitò a casa a Milano - raccontò in seguito Bedeschi - d’improvviso, di notte, come quando sul fronte russo mi svegliava di soprassalto con una zampata contro il telo da tenda, perché un artigliere alpino aveva la colica. Soltanto questa volta aveva al seguito la sua giovane moglie e due bellissimi bambini, e veniva da venti giorni filati di navigazione, la famiglia Covre rimpatriata al completo. Quando se ne andò la notte stessa, perché la terra di Milano gli bruciava sotto i piedi al pensiero di essere a sole sei ore di treno dal suo paese, Toni Covre era rimasto quello d’allora. E mi pareva che in strada dovesse trovare la batteria per intero, com’era allora quando ancora non mancava né un uomo né un mulo, allineata e pronta a muovere verso il giorno nuovo sulla steppa di Russia»

Per Antonio Covre, protagonista di uno dei racconti più belli tra quelli che narrano del sacrificio degli alpini, non è stato facile ricordare. Perché i ricordi possono pesare, e non è stato facile ricordare in una sola volta la Russia, le lunghe marce nella steppa, la ritirata, venti anni di dura emigrazione, il caro tenente e tutti gli altri amici che non ci sono più. Ed i paletti che affondavano insanguinati nel suolo piatto della Russia sconfinata.

Gianfranco Dal Mas

martedì 13 maggio 2008


Molti hanno chiesto per poterci ritrovare, Nicola Basso mi ha contattato con la seguente e-mail e poi ci siamo sentiti telefonicamente, la data di un eventuale futura riunione potrebbe essere fissata per luglio prossimo probabilmente nella zona di Padova, voi che ne pensate ? Aspettiamo fiduciosi la vostra adesione.
Inoltre se qualcuno ha qualche vecchia foto da inviarmi, sarò felici di pubblicarla. Il mio indirizzo è :gianpietro3@virgilio.it


Il giorno 08/mag/08, alle ore 09:39, Nicola Basso ha scritto:

Ciao tutto bene?
In molti mi telefonano o mi scrivono chiedendomi se si riesce ad organizzare qualcosa.
Tu cosa dici?
Salutoni Nicola Basso

Ti invio cosa ne pensa il Saggio.



Ciao Nicola
----- Original Message ----- To: Nicola Basso
Sent: Thursday, May 08, 2008 12:15 PM
Subject: Re: 108°


...dico che se fra la "PRIMA E LA SECONDA" una volta bastava passassero pochi minuti....poi dopo qualche anno...poche ore....oggi....almeno un paio di giorni......



ergo: la prima ...dopo 22 anni ed è stata breve, intensa e partecipata....ma se non passano almeno 5 anni ...ho paura che saremo in pochi....

dario lodes

giovedì 17 gennaio 2008

POZZAR HA SCRITTO


Credo, che così facendo, di poter inviare a tutti queste due mie righe!.....perchè se qualcuno non lo ricordasse la mia conoscenzainternet ed accessori, quale è il computer, non è proprio delle migliori!Ringrazio Arrigo e pure Giorgio per le loro e-mail...ma devo dire che la foto inviatami da Arrigo,se pure sbiadita, è una di quelle che tra altresono gelosamente costudite in un personale raccoglitore dedicato a quelperiodo! Certamente tra i ricordi migliori ci siete anche voi! ...magari con alti e bassi! ...ma certamente sono ricordi che in qualche modo hanno formatouna amicizia che a distanza di anni resta sempre viva e presente in me!Colgo l'occasione per augurare ad ognuno di voi e ai vostri famigliari imigliori e più sinceri auguri per un boun fine anno ma specialmente per unspeciale 2008!Non perdiamoci restiamo uniti!...non sarebbe male poterci rivedere dinuovo! Ciao Marcello.

SCHIAVOLIN HA SCRITTO


GRAZIE. TANTI CARI AUGURI A TUTTI. SONO ANCHE IO DELL'IDEA CHESAREBBE BELLO RIVEDERCI PRESTO, ANCHE SE MI RENDO CONTO CHE NON FORSEPOTREMO ESSERCI TUTTI. SIETE NEI MIEI RICORDI, ANCHE PERCHE', COMESAPETE, TENEVO UNA MINICRONISTORIA (DIARIO NON E' IL TERMINEESATTO) DI OGNI GIORNO.ERO GIA' UN PO'NOSTALGICO DI QUELPERIODO GIA' ALLORA....UN ABBRACCIO. MICHELE SCHIAVOLIN

martedì 15 gennaio 2008

PROSIT AL TEMPO CHE FU




POZZATO SCRIVE


… mi faccio vivo anch’io, da qui, dalla scrivania del mio ufficio(altro che percorso di guerra….) per cercare di dire a tutti voi quelloche da quasi due anni ormai, da quando ci siamo rivisti, avrei volutodirvi:grazie a tutti per esserci stati allora, a Cesano: siete stati imigliori compagni che potessi desiderare, con cui condividere lefatiche, le gioie, le ansie, le delusioni e (come non ricordarlo?) ancheun buon bicchiere di vino la sera in camerata.Siete entrati tutti, uno per uno, in quel periodo della vita che forsesi ricorda più volentieri perché tutto è ancora davanti a noi e si hannopiù speranze che ricordi. E tutti, uno per uno, vi ho presenti, non ho mai scordato nessun nome e nessun volto.Grazie per la splendida giornata, forse la più bella dei miei ultimianni, che mi avete fatto vivere quel giorno di ormai quasi due anni fa:non ho mai visto persone così felici di rivedersi, né abbracci piùsinceri.Grazie, per questo, in particolare a Nicola, cui va tutto il merito diaverci fatto ritrovare.Grazie per l’amicizia che ci lega e che ha resistito così bene altempo e alle nostre vicende personali: faccio mio l’appello diMarcello (grande Marcello!): non perdiamoci di vista, rimaniamo uniti,non disperdiamo un rapporto così bello e così grande. E anche in questogli dò ragione: perché non rivederci ogni tanto? Dopo due anni i tempipotrebbero essere maturi….Vai Nicola, cominciamo il giro delle telefonate e delle e-mail?Per finire, a tutti voi e alle vostre famiglie (anche Andrea Polo hamesso su famiglia, se ben ricordo ha due splendide ragazze…. Ma ve lovedete nei panni del papà??? Grande Andrea, ti ricordo sempre con tantasimpatia ) infiniti auguri di ogni bene e di tanta serenità per il tempoa venire.Un abbraccio a tutti: Arrigo, Dario, Mauro, Franco, Giorgio, Mirco,Gianpietro,Giovanni, Michele, Armando, insomma proprio a tutti, anche achi quel giorno non c’era e avrei tanto voluto rivedere, Paolo Codellae Paolo Mursia su tutti…..Con affetto, ciao e, ci conto, a presto!Tiziano Pozzato

108° AUC

Salve a tutti gli AUC del 108° corso Fanti d'Arresto.
Ho creato questo blog per poterci incontrare, scambiarci impressioni, ricordi, foto ed altro riguardante il nostro periodo trascorso alla scuola di Fanteria di Cesano, nell'ormai lontano 1982.

Botteon Gianpietro